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IV Domenica d’Avvento

 

Dal Vangelo secondo Luca (1,39-48a)

 

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva».

Per meglio comprendere

L’evangelista Luca colloca l’incontro tra Maria ed Elisabetta tra gli annunci della nascita (quella di Giovanni il Battista: Lc 1,5-25; quella di Gesù: Lc 1,26-38) e la loro realizzazione (quella di Giovanni Battista: Lc 1,57-58; quella di Gesù: Lc 2,1-20), creando così uno spazio di meditazione e di riflessione che ci permette di apprezzare il percorso interiore compiuto dalle due donne.

Non si tratta di un processo semplice e lineare, perché non sono piccole le sfide con cui hanno dovuto confrontarsi. Infatti, la maternità che è stata loro prospettata appare minacciata dall’illusione, viste le condizioni di impossibilità in cui entrambe si trovano: Elisabetta è troppo vecchia, per assecondare il processo naturale della generazione, mentre Maria rimane incinta al di là dell’intervento umano.

[…] Le storie di queste due “maternità impossibili” sono profondamente intrecciate: il segno che l’angelo dà a Maria è proprio la maternità inattesa di Elisabetta, la vecchia parente che è già al sesto mese di gravidanza (1,36-37)! Questo dato giustifica anche i tre mesi di permanenza di Maria presso la cugina (1,56): ha atteso la nascita di Giovanni.

Al centro del racconto sta l’immagine di Dio, inteso come colui che viene incontro alle impossibilità, ai limiti che la storia impone, garantendo alla vita la possibilità di un nuovo inizio. Un nuovo inizio che non si limita alla vita delle due donne, ma che grazie alla loro accoglienza e alla loro fede, diventa occasione di salvezza per tutti.

È proprio l’entusiasmo per questa grazia sorprendente e inattesa che è stata concessa a lei e a Elisabetta, che affretta il viaggio di Maria verso la montagna di Giudea dove abita la cugina. Ed è proprio su costei che si concentra l’attenzione della giovane. […] È la gioia delle due madri che occupa l’intero quadro. Gioia che si fonda sul riconoscimento che tutto quanto Dio ha promesso si realizza con puntualità, perché, a motivo della sua cura per l’umanità, nulla gli è impossibile (vedi 1,37). Non si tratta quindi di un’onnipotenza schiacciante e vincolante, ma al contrario tutta tesa a liberare dagli ostacoli che impediscono la piena realizzazione delle persone, come afferma Elisabetta stessa nel constatare la sua gravidanza: «“Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini”» (1,25). Questo modo di pensare lo si vedrà esplicitato nel canto di Maria: il Magnificat.

 

Che al sesto mese il bimbo si muova dentro la mamma è un fatto del tutto normale. Però Luca vi riconosce l’allusione a una vicenda del Primo Testamento, dove si racconta che l’urtarsi dei due gemelli – Esaù e Giacobbe – presagisce il loro futuro destino (Gen 25,22). Alla luce di questo riferimento, l’evangelista fa capire che Giovanni è effettivamente un profeta, come aveva predetto l’angelo (Lc 1,7): portatore dello spirito profetico sin dal grembo della madre, preparerà adeguatamente la strada al Signore che viene.

Se il sussulto serve al lettore per precisare l’identità profetica del bimbo, la sua interpretazione non è affidata da Luca al naturale discernimento di Elisabetta.

L’esperienza che ella fa è del tutto intima e nascosta; per venir comunicata deve essere intesa a un livello che va più in profondità dell’istinto materno. Stando al racconto, lei non sa nulla della gravidanza della giovane cugina. Eppure intuisce che quanto è accaduto a lei, vecchia e sterile, è successo, benché in modo del tutto originale, anche a Maria. Elisabetta ha compreso la sua maternità come benedizione di Dio, cioè come un intervento gratuito e sorprendente che l’ha strappata dal senso di fallimento e di vergogna.

Si tratta di quell’intelligenza spirituale che nasce dalla fede e che dischiude per sé e per gli altri il senso misterioso e sovrabbondante della vita. Essa infatti parla perché “colmata dallo Spirito santo”; solo grazie a esso Elisabetta interpreta correttamente quanto è accaduto a lei e a Maria.

L’esclamazione di Elisabetta, anzitutto, mette in piena luce l’identità del figlio di Maria: siccome è portatrice del mio «Signore», essa è effettivamente la «benedetta tra le donne». […] Ella infatti è proclamata «beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Questo fatto la differenzia nettamente dal padre di Giovanni, il sacerdote Zaccaria, costretto dall’angelo al silenzio perché non ha prestato fede alle sue parole (Lc 1,18-20).

Credendo al compimento delle parole divine, Maria diventa madre: era necessaria la sua fede proprio perché queste parole si compiessero! Ella è in modo esemplare colei che ascolta la Parola, è il modello del credente, la prima discepola.

A questo proposito è illuminante il confronto con un passo di Luca, in cui Gesù dialoga proprio con una donna: Mentre parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Grazie alla correzione che Gesù introduce è chiaro solo Maria corrisponde ad entrambe le beatitudini: è la madre di Gesù perché ha ascoltato e messo in pratica la parola di Dio.

 

Di fronte alle sorprendenti parole di lode di Elisabetta, Maria risponde spostando l’attenzione da se stessa a Dio. Lo fa con un canto di lode, pieno di riferimenti alla Scrittura, in particolare riferendosi al canto di Anna, beneficata lei stessa da Dio per la nascita del figlio, il profeta Samuele (1Samuele 2,1-11). […] Maria è cosciente che quanto Dio realizza a suo vantaggio, è un’occasione di salvezza per tutta la sua gente, con la quale si sente solidale perché figlia di quell’Abramo a cui Dio fece la promessa che ora si realizza. Il bene che Dio fa a ciascuno è sempre a vantaggio di tutti. Lo si è visto con Elisabetta che riconosce nella giovane cugina la benedizione che lei stessa ha sperimentato; lo si vede ora in Maria, la cui maternità dona al mondo il Salvatore.

Nell’inno Maria assegna il motivo della sua gioia e della sua dignità all’agire gratuito e benevolo di Dio. Lei è e resta l’umile serva, ma questa condizione non significa umiliazione, sottomissione, paura. Esprime invece la coscienza che l’agire di Dio non dipende dalla grandezza, dalla forza, dalla dignità delle persone. Se fosse così non si capisce perché Zaccaria, il padre di Giovanni, persona ragguardevole per il suo ruolo di sacerdote, sia stato costretto al silenzio!

Maria invece è cosciente che Dio agisce secondo una logica e con dei criteri che non sono quelli comunemente in uso tra gli uomini. La sua umiltà non è solo il frutto di un atteggiamento interiore, cioè l’opposto della superbia. Lei è effettivamente piccola e povera come lo sono tutte le persone cui fa riferimento nel suo canto: gli umili, gli affamati. La condizione di costoro è realmente difficile per cui non possono che affidarsi a chi li può difendere e proteggere: Dio. Al contrario i superbi e i ricchi che, confidano solo nei loro beni e nella loro forza, ritengono Dio superfluo e insignificante per la loro esistenza e così si sottraggono alla sua generosità.

Questo modo di descrivere l’agire di Dio in favore dei piccoli e di chi è in difficoltà, è una precisa indicazione per capire l’intero Vangelo. Infatti pagina dopo pagina si vede che questo criterio è esattamente quello che Gesù stesso metterà in atto nel suo ministero e che Maria, la prima discepola, capisce sin dall’inizio.

 

Tratto da UCD di Verona, I miei occhi hanno visto la tua salvezza. I racconti dell’infanzia in Luca. Sussidio per la catechesi degli adulti in tempo di Avvento, 2012, 17-20.

 

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